venerdì 4 dicembre 2015

Human Traction goes on!

Ciao HT followers, sono Catia da due settimane sono di nuovo in Italia. Scrivere del Nepal è difficile e altrettanto necessario. Difficile perché sono indescrivibili le emozioni provate in un posto così diverso dal mio paese d’origine eppure così umanamente vicino e caldo. La necessità deriva dal fatto che, nonostante il Nepal non sia mai stato sotto i riflettori, se non per eventi catastrofici e sconcertanti come il terremoto dell’Aprile 2015, è un Paese che in questo momento vive una “catastrofe umanitaria” dovuta ad un’assurda politica di “embargo” ufficioso imposto dall’India.


E’ facile intuire che, vista l’assenza di ferrovia e di sbocchi sul mare, non avere benzina in Nepal comporta una serie di difficoltà che vanno al di là di ogni immaginazione. Tutto, e dico tutto, è influenzato da questa mancanza. Ed ogni piccolo risultato raggiunto, anche quello che potremmo ritenere scontato, si conquista con grandi sforzi ed è causa di immensa gioia.  Perché, anche in momenti come questo, noi tutti volontari di Human Traction e i ragazzi non ci fermiamo!


Negli ultimi due mesi, l’intero periodo della mia permanenza a Lilliput, ne sono successe tante ed è bello, come sempre, condividere le informazioni con chi ci sostiene.  Grazie al vostro aiuto siamo stati in grado di far diagnosticare la Tbc a D e farlo curare. Abbiamo finanziato l’acquisto delle serie/banchi per le classi della scuola che frequentano i ragazzi.  L’acquisto dell’impianto di depurazione dell’acqua è stato economicamente rilevante e davvero non avremmo potuto affrontarlo senza la vostra collaborazione.


L’inverno è arrivato anche a Lilliput, così abbiamo provveduto a fornire ai nostri piccoli amici tutto l’abbigliamento necessario. Due dei nostri volontari hanno visitato la casa d’origine del più grande dei nostri ragazzi e, trovandola in condizioni disastrose, causa terremoto, si è deciso di finanziarne la ricostruzione.

A tutti coloro che ci seguono vorrei trasmettere la gioia che si prova nel guardare i ragazzi crescere, guardarli negli occhi mentre noi tutti li sorreggiamo nel loro andare avanti, sforzandoci di non fargli mancare nulla. Personalmente ho ricevuto tanto da loro e sicuramente, in questi 2 mesi a Lilliput, abbiamo raggiunto così tanti traguardi grazie a voi e ai vostri sforzi. Andate avanti, andiamo avanti! Un grazie a tutti voi e a Human Traction! Stay tuned! 


venerdì 6 novembre 2015

Standby Nepal

Dopo settembre anche Ottobre è stato un mese all’insegna dell’assurdo.
Già perché, purtroppo, nel 2015 anche in Nepal senza il carburante ed il gas la vita dopo un po’ diventa semplicemente assurda. La benzina al mercato nero costa più di 5 euro al litro ed è tagliata. Le file ai distributori sono infinite, gli autobus sono ridotti e viaggiano caricando decine di persone anche sui tetti. Il tragitto per Kathmandu (18km) è diventato un viaggio epico di ore ed ore. In ostello la didi cucina da settimane con bambù secco e la poca legna che si trova in un villaggio nel mezzo delle risaie. In città la situazione è ovviamente peggiore ed addirittura i ristoranti per turisti in Thamel, ormai da più di un mese, hanno il menù dimezzato perché non possono sostenere il costo di 80 euro a bombola del gas, figuriamoci la gente normale.
I nostri lavori di ristrutturazione dei bagni ed il progetto di ricostruire la parte pericolante della cucina sono completamente bloccati perché nessuno consegna i materiali e i prezzi sono raddoppiati.
Ottobre è stato anche il mese del Dasahin, la massima festa nepalese che corrisponde un po’ al Natale: si fanno kilometri per riunirsi con i parenti e mangiare smodatamente con la famiglia cercando di dimenticare, almeno per qualche giorno, la pesantezza e le difficolta di questo 2072. (In Nepal seguono un calendario tutto loro)
Il ragazzo più grande dell’ostello ci ha chiesto di accompagnarlo al villaggio di origine dove vivono la madre vedova ed il fratello con un braccio paralizzato. Il villaggio si trova tra le alte colline sopra Barhabise, 85 km dalla capitale, nel distretto di Sindupalchok, epicentro del sisma di Aprile. Come la maggior parte della popolazione di quelle zone, anche loro hanno perso la casa e vivono in una baracca di onduline e legna. La mamma si chiama Maya e ci ha accolti con la proverbiale ospitalità nepalese. Ci siamo sentiti coccolati e rifocillati dopo le 6 ore di curve in cima ad un vecchio autobus e 3 di trekking per raggiungere il villaggio.  La bellezza di questi luoghi e di queste persone lascia senza fiato, come la distruzione del terremoto che qui ha seminato macerie ovunque. Ancora una volta il Nepal si rivela terra di contrasti, meraviglioso e dannato, più da una classe politica becera e dai giochi di potere dell’India che dalla natura matrigna. I milioni di euro stanziati per la ricostruzione sono ancora tutti fermi nelle casse del Primo Ministro perché negli ultimi mesi tra la ratifica della costituzione prima e l’embargo indiano dopo, non è stato mosso un dito per aiutare la popolazione colpita. Nel nostro piccolo abbiamo deciso di aiutare la mamma di Dipendra a ricostruire la sua casa. Le abbiamo consegnato 16.000rps, circa 150 euro, per i lavori di abbattimento della vecchia casa e rimozione delle macerie. Torneremo da lei a gennaio per seguire i lavori di ricostruzione. Purtroppo entro due settimane lo staff di HT dovrà lasciare il Nepal (attualmente siamo in tre). A me non danno il visto come insegnante di inglese per un anno perché al Dipartimento dell’Istruzione dicono che non c’è bisogno di insegnanti stranieri, i loro sono abbastanza e bene preparati. Sappiamo tutti che non è vero, che il Nepal vanta uno dei sistemi educativi più deboli al mondo e che nello specifico nella nostra scuola manca personale docente. Non mi hanno neanche fatto parlare cacciandomi dall’ ufficio in malo modo. Ho mangiato un panino di rabbia, l’ho digerito e ora sono serena perché il dono più grande che il Nepal mi ha fatto in questi anni è la prova che con la pazienza e la perseveranza si ottiene tutto. Tornerò con il mio compagno a gennaio e, come sempre, troveremo un modo per andare avanti.
Catia, che ha scritto il post sulla sanità, era venuta in Nepal per riabbracciare due vecchi amici. Sarà il fascino di Lilliput, sarà la magia dei ragazzi dell’ostello, ha deciso di entrare a far parte della nostra famiglia aiutandoci sia in Nepal che in Italia. Siamo felici di acquisire nuove energie proprio nel momento in cui salutiamo con affetto Clara che, per motivi personali, ha deciso di lasciarci.
Auguriamo ai vecchi e ai nuovi amici, ma soprattutto al nostro amato Nepal un futuro sereno. Noi, problemi di visti a parte, ci saremo sempre e faremo sempre del nostro meglio per far crescere i ragazzi dell’ostello forti ed aiutare le persone in difficoltà a noi vicine.


 
Le macerie della casa di Maya, Sindapalchok

Le macerie della casa di Maya, Sindapalchok

Le macerie della casa di Maya, Sindapalchok

La casa vecchia casa di  Maya, Sindapalchok

Maya nella sua casa attuale

giovedì 15 ottobre 2015

Un post dall'Health Post

Ciao gente, sono Catia e sono qui a Lilliput con Human Traction da 3 settimane. Vivere in un villaggio della Kathmandu Valley è una passeggiata di salute se hai la benzina, se hai la bombola del gas per cucinare, se hai corrente 24h e acqua potabile tutto il giorno. Ma così non è, quindi la passeggiata di salute ancora non l’ho fatta. E proprio di salute voglio parlarvi, perché finché stai bene qui con impegno e spirito d’ adattamento alla fine ce la si fa. Ma se per caso ti capita di prenderti una qualunque malattia tutto diventa davvero rischioso. Come sapete nelle scorse settimane nonostante la chiusura della frontiere con l’India e tutti i problemi che ne sono derivati, siamo riusciti a portare uno dei nostri ragazzi, D., presso un ospedale privato dove gli è stata diagnosticata la tubercolosi diffusa. Ovviamente prima D. era stato “visitato” dal cosiddetto medico dell’Health Post del villaggio. Diagnosi approssimate che si sono rivelate errate, e poi la decisione di rivolgerci all’ospedale privato ci hanno permesso di curare il nostro D. Allora mi sono detta “sarà il caso di dare un’occhiata a questo avamposto della sanità pubblica!”. Così stamattina con curiosità e non poco timore mi sono avventurata. Le immagini parlano da se, due stanzette fatiscenti, zero attrezzature mediche, un unico lettino per i pazienti usato come portaoggetti, materiale arrugginito e scatole intere di farmaci scaduti pronti da somministrare agli sfortunati avventori. I pochi cartelli che vedo sono ovviamente incomprensibili per me, ma ho avuto conferma dai locali che non contengono informazioni davvero rilevanti sulla prevenzione e sulla salute. Col sorriso più amichevole che posso cerco di parlare con quello che sembra essere il medico. Un uomo sulla quarantina, niente camice, una sorta di stetoscopio al collo, roba da mangiare sulla scrivania. Mi dice che è qui da 15 anni, che praticamente ha curato tutti e conosce tutti qui al villaggio. Non sono un medico, tengo a precisare, ma lo vedo prescrivere farmaci ad un bambino di circa un anno senza neanche averlo visitato. La domanda fatidica:” dottore ho sentito dire che qui in Nepal la tubercolosi è molto diffusa, me lo conferma?”. Frettolosamente mi risponde di NO e ricomincia a parlare con la mamma del piccolo paziente. Non so se ho sbagliato, avrei potuto ribattere ma non l’ho fatto, sono uscita dalla sua stanza anche perché l’ho visto nervoso mentre mi vedeva maneggiare il telefono per cercare di far foto. Nell’altra stanza un altro uomo, credo sessantenne, prescrive farmaci dalla finestra, la gente si affaccia dall’esterno dell’edificio, dice qualcosa e lui compila dei foglietti di prescrizione medica come se fosse un impiegato delle poste.




Ribadisco, non sono un medico e non mi permetterei mai di giudicare l’operato di professionisti in una materia che non padroneggio, ma con un po’ di ragionevolezza credo non sia buona norma prescrivere farmaci senza visitare i pazienti, credo che un Health Post, per quanto sguarnito di materiale medico, si possa tenere in condizioni igieniche migliori e che la salute dei cittadini non debba cadere nella immensa falla del sistema sanità. Dal 1996 esistono i DOTS, centri di osservazione diretta per la tubercolosi, e la loro attività ha già prodotto buoni risultati. Ma la loro efficienza rimane limitata se poi i medici dei villaggi non sono abbastanza professionali e preparati da inviarvi i casi sospetti. Vedo D. con la mascherina, una terapia di 8 mesi davanti, più di 6 farmaci al giorno. In Nepal oggi la sanità è privata. Dati alla mano circa il 40 % della popolazione è infetta dal bacillo della tubercolosi. Circa 4000 persone all’anno muoiono di tubercolosi. Nella stragrande maggioranza dei casi la diffusione della malattia è dovuta al ritardo nella diagnosi e alla mancanza di consapevolezza della popolazione sulla malattia stessa.


Incredibile ma vero! Questo è quanto ho appreso oggi nella mia passeggiata di salute a Lilliput.












domenica 11 ottobre 2015

Aspettando Godot...ed un autospurgo!

Amici che ci seguite, vi abbiamo lasciato con l’ultimo post di fine settembre con le nostre disavventure, la fossa biologica, le tensioni politiche interne e quelle con l’India che hanno portato al blocco delle frontiere con conseguente razionamento di benzina e bombole del gas. Le cose non sono migliorate, anzi.
Il 2 ottobre abbiamo portato D., uno dei nostri ragazzi, in ospedale. Eravamo già stati 15 giorni prima in un ospedale nepalese dai sedicenti “international standards”. Il ragazzo accusava dolori di stomaco, febbre, inappetenza e presentava l’addome rigonfio. L’arguto medico, senza neanche toccare il paziente, ci prescrive: ciproxina (antibiotico ad ampio spettro), un camion di paracetamolo ed un farmaco antiulcera. A distanza di pochi giorni anche presso l’health post del villaggio D. ha ricevuto lo stesso trattamento. Abbiamo deciso a questo punto di rivolgerci all’unico ospedale degno di questo nome. Una precisazione: in Nepal la sanità è privata eccetto il Bir Hospital di Kathmandu e, come per tutto il resto, il servizio è scadente. I medici sono poco preparati e le diagnosi sono spesso inadeguate. Dopo 4 giorni di ricovero e più di 500 euro di spesa, abbiamo scoperto che D. ha la “tubercolosi diffusa” che ha colpito, nel suo caso, la pleura e il fluido peritoneale. Si tratta di una malattia molto diffusa in questo Paese ma nonostante ciò le prime diagnosi sono state pericolosamente errate. La malattia è infettiva ma il medico ci ha un po’ rassicurati spiegandoci che è molto meno trasmissibile rispetto a quella polmonare. Le indicazioni per D. sono: indossare la mascherina almeno per i primi tempi, dormire isolato, seguire la terapia farmacologica per 6/8 mesi.
La mattina del 6, ovviamente ancora debole e barcollante, D. è stato dimesso. I nostri problemi personali, come quelli di tutti i nepalesi, sbattono e si amplificano contro il muro di problemi e disagi dovuti alla mancanza di carburante. I bus hanno ridotto le corse e viaggiano carichi al limite della sopportazione meccanica ed umana, D. non è in condizione di affrontare un viaggio simile. Ai benzinai ci sono taxi ed autisti del trasporto pubblico in file di km. C’è chi aspetta da più di 24 ore ed il rifornimento ai privati non è permesso da diversi giorni. Davanti all’Esercito ci siamo finti turisti impauriti e siamo riusciti a recuperare 2 preziosissimi litri per riportare il nostro D. a casa. Oggi, domenica 11, siamo un po’ più sereni perché risponde bene alla terapia, gli sta tornando l’appetito e, anche se il suo sorriso sarà coperto dalla mascherina per un bel po’, i suoi occhi e la sua vitalità, che aumenta di giorno in giorno, ci fanno sperare che con le dovute attenzioni ed impegno guarirà e anche la Tbc, al tempo dell’embargo silente, sarà un’altra complicata avventura archiviata.
Qui non ci si annoia mai e di complicate avventure ne abbiamo un po’. Il fatto che non ci sia benzina non significa solo che devi andare a piedi e che se devi trasportare materiali e/o persone ti puoi giusto affidare agli dei, significa che tutta la vita e tutte le attività vanno in stop indeterminato, il che alla lunga diventa stressante e pericoloso. Non c’è cemento né sabbia né i materiali necessari per la ricostruzione della cucina e delle parti pericolanti. Non possiamo terminare il lavoro dei bagni e chi ci segue sa che da tempo abbiamo problemi con la fossa biologica. Prima lo sciopero degli autospurgo e poi la mancanza di benzina stavano rendendo la vita in ostello irrespirabile e pericolosa. Non abbiamo avuto altra scelta che utilizzare una grande buca nel campo sottostante che, anche ad aprile, causa terremoto, era stata usata per svuotare la fossa stessa. La buca è coperta da strati di onduline e le terra assorbe abbastanza in fretta. Sappiamo che non è la soluzione ideale e non è stata una decisione presa a cuor leggero, anche perché il canale di scolo lo abbiamo scavato noi e non è stato piacevole. Adesso la situazione è sotto controllo, per un po’, l’odore nauseabondo è diminuito e la pozzetta a cielo aperto di liquami e bigattini è sparita.

Come il resto della popolazione non ci resta che attendere che la situazione si sblocchi per poter tornare a quel casino incredibile di luce ed acqua razionate, politica fantoccia, spezie e bellezza, anime gentili e balordi, macerie e speranza che chiamavamo “normalità”.
Per chi sa l’inglese e vuole capire di più, ecco un bell’ aricolo uscito oggi su Aljazeera-http://www.aljazeera.com/news/2015/10/analysis-blockade-politics-nepal-151009193817262.html




martedì 29 settembre 2015

NON C'E' PACE SUL TETTO DEL MONDO

Cari amici che ci seguite, sapete che spesso ho espesso le mie difficoltà nel trovare le parole per descrivere il Nepal. Il tetto de mondo, terra di forti paradossi e contrasti sfugge alle logiche spiegazioni e spesso anche chi ci vive non riesce a spiegare al mondo le dinamiche interne tanto complicate.
A 5 mesi dal terribile terremoto che ha messo in ginocchio parte del Paese, questi dovrebbero essere i giorni della ricostruzione e della speranza e invece sono giorni di puro caos. Ma il terremoto non c’entra niente. La ratifica della costituzione attesa da decenni, e appena avvenuta, ha creato forti malcontenti tra le popolazioni del sud del Paese che non vedono riconosciuti i loro diritti e sono trattati come cittadini di serie B. Risultato 43 morti tra polizia e manifestanti, il Terai (sud) bloccato da più di un mese( scuole chiuse, uffici chiusi, la paresi di mezza nazione). Da qualche giorno ci si è messa anche l’India che ha chiuso le frontire col Nepal bloccando così l’accesso di benzina, bombole di gas e generi alimentari. Le ripercussioni sulla vita di tutti giorni sono pesanti. Senza benzina la gente non può andare a lavorare, se finisce il gas non sappiamo come cucinare, è una catena di problemi. 
La nostra fossa biologica è piena ed il camion non può venire a fare lo spurgo perchè non ha rifornimento sufficiente per arrivare al villaggio. Passateci il francesismo, siamo nella merda!
In questi  momenti è difficile tenere alto il morale ma , come sempre la forza, l’energia e la voglia di vivere dei ragazzi ci spingono ad andare avanti. Siamo felici perchè da pochi giorni sono arrivate Clara e  Catia  a  portre nuove energie alla famiglia Human Traction. Di seguito il post con le impressioni di Clara che torna in Nepal per la terza volta. Su Facebook trovate il racconto di Catia.
fila al distributore, photo credit The Himalayan Times.
Sono rientrata in Nepal dopo 1 anno... dopo il terremoto del 25 Aprile, rientrare al villaggio e trovare molte case crollate, ritrovasi in mezzo alle macerie di case di persone che conosci, rivedere la sede di HT divelta è stata una stretta al cuore, mai il popolo nepalese è un popolo fiero e si è già messo al lavoro per la ricostruzione e l’abbattimento delle case pericolanti.
I ragazzi mi hanno fatto subito sentire a casa, il loro calore, la gioia nei loro occhi hanno fatto passare in me ogni tristezza. U   na delle nostre ragazze, si è precipitata ad abbracciarmi, è passato solo 1 anno ma ormai è una bella signorina e come mi fece notare Vittoria, tra qualche anno ci ritroveremo nonni. E’ la terza volta che vengo in Nepal, ormai anche nel villaggio sanno chi sono e anche loro mi hanno accolto con un sacco di sorrisi e Namaste Clara! Nella mentalità dei ragazzi (e dei nepalesi in gene), se torni più volte è perche ci vuoi bene ti interessa il Nepal.
L’ostello ha retto molto bene il terremoto, non ha subito alcun danno, in questo momento stiamo sistemando i bagni che erano in condizioni pietose, i ragazzi ci stanno aiutando molto, ormai sono ometti e sono indispensabili per traduzione dall’inglese al nepalese, molti hanno quasi finito la scuola media e stanno decidendo cosa fare da grande e il loro pensiero è quello di come poter aiutare HT e le persone del villaggio, quindi trovare un indirizzo scolastico utile non solo a loro stessi.
E’ stato fatto molto lavoro nell’ostello, i lavori da fare sono ancora tanti, abbiamo una nuova sede che stiamo ultimando, a breve inizieremo il progetto di permacultura con immensa gioia dei ragazzi. 
Questa volta, mi fermerò in Nepal per 3 mesi, le altre 2 volte sono state solo una toccata e fuga, 3 e 2 settimane, ho voglia di conoscere meglio i ragazzi, gli usi e costumi di questo magnifico Paese che, tra terremoto e tensioni politiche, sta faticosamente cercando di rialzarsi. 

giovedì 27 agosto 2015

TEMPI DURI - HARD TIMES (translated)



Secondo l'interpretazione della maggior parte delle Sacre Scritture induiste, tra cui i Veda, il Kali Yuga (lett. "era del demone Kali" o anche era del ferro) è l'ultimo dei quattro yuga; si tratta di un'era oscura, caratterizzata da numerosi conflitti e da una diffusa ignoranza spirituale. Anche in Nepal le cose non sono mai state facili, gli ultimi decenni poi sono stati terribili. 10 anni di guerra civile terminata nel 2006, hanno lasciato il Paese allo sbando in mano a una classe politica paragonabile a quella italiana. Litigano e mangiano sulle spalle della gente che da sempre vive con acqua e luce razionate ed è da un decennio che non riescono neanche a scrivere la costituzione.
Come se non bastasse i terremoti del 25 Aprile e 12 Maggio hanno inferto un altro duro colpo ad un Paese già in ginocchio.

A quattro mesi dalla catastrofe e milioni di euro stanziati per la ricostruzione, sulla piazza simbolo di Kathmandu si vedono solo poche impalcature di bambù e, neanche tutti i giorni, pochi omini in ciabatte che spingono carriole di mattoni oltre al muro di cinta del Taleju temple. Anche gli altri templi crollati sono in stato di abbandono come il bellissimo Kal Mochan. Nei palazzi del potere si sta scrivendo l'ennesima bozza di costituzione con la pressione della comunità internazionale che minaccia di non elargire altri fondi nel caso non fosse ratificata. Dio Dollaro li ha rimessi al lavoro, i risultati sono inquietanti. La prima bozza proposta i primi di agosto divideva il Paese in 6 province con il malcontento delle etnie del sud che lamentano, ancora un volta, l'accentramento del potere nelle mani della valle di Kathmandu. Poi sono state proposte sette province ma le tensioni, sopratutto al sud, continuano violente. Negli scontri di due giorni fa sono stati uccisi diversi poliziotti nel distretto di Kailali, la settimana scorsa la polizia ha ucciso tre manifestanti a Surkhet. La tensione aumenta alimentata anche dalla disputa creata dall'India che spinge per la creazione di uno Stato induista. In un Paese raro esempio di pacifica coesistenza millenaria di molte religioni, questo suona come un altro brutto campanello d'allarme.
Mentre il mondo si è da un pezzo dimenticato del Nepal, chi dovrebbe costruirlo, o ricostruirlo dall'interno, continua solo
a speculare e a rimetterci sono sempre i più poveri ed indifesi.
Come accadde ad Haiti e in altri luoghi martoriati, la macchina dei grandi aiuti, quando si è mossa, lo ha fatto in maniera discutibile. Il World Food Program ha consegnato tonnellate di riso avariato, l'ambasciata Svizzera, per citarne una, ha consegnato scatole di pasta liofilizzata, caramelle e caffè in grani.
(I Nepalesi non mangiano pasta e non bevono caffè). Le grandi associazioni arrivano solo dove arrivano le strade, grandi jeep, grandi progetti sulla carta, grandi esperti, grandi meeting in hotel a 5 stelle e grandi stipendi. Un' amica nepalese che per lavoro ha a che fare con ong, mi ha detto disgustata che ad ogni meeting solo con la spesa per i cubetti di ghiaccio, una famiglia nepalese ci mangerebbe un mese. Cubetti di ghiaccio, immaginate il resto!


Se mai questo Paese si rialzerà sarà grazie alla resilienza, la forza del popolo e l'aiuto di singoli e piccole associazioni che stanno mettendo cuore e sudore a fianco della gente, giorno per giorno creando nuove speranze per una vita migliore.
Come temevamo il 25 Aprile, il terremoto non è il male maggiore, stavamo già messi male prima e quella che poteva essere un'occasione per un rinascimento atteso da decenni, si sta rivelando una vana speranza. Questo piccolo Paese malato e meraviglioso, patria di grandi contrasti ,è lo specchio del nostro mondo, un Paradiso che stiamo trasformando in inferno con le nostre meschinità umane.
Ma niente panico, gli studiosi dei Veda e delle scritture sacre indiane danno come data più gettonata della fine del Kali Yuga il 2025. La ruota gira, tornerà l'età dell'oro, gli uomini vivranno in pace e saranno spiritualmente più elevati.
Noi nel nostro piccolo non vogliamo farci trovare impreparati per la nuova era: a scuola e all'ostello stiamo imparando a fare i bisogni dentro al gabinetto, buttare l'immondizia nei cestini e smettere di scatarrare fragorosamente.
Stiamo studiando il modo migliore per ricostruire le due aule, l'ufficio e la cucina della scuola danneggiate dal terremoto. Nel tempo libero impariamo a suonare la chitarra e nuovi movimenti di break dance così cantando, ballando e lavorando, scacciamo i demoni dei brutti pensieri e un passo alla volta, con il vostro aiuto da lontano, costruiamo il futuro che sognamo.

According to the interpretation of most Hindu Scriptures, including the Vedas, the Kali Yuga – literally, "the Age of the Eemon Kali", or Iron Age – is the last of the four yugas, a dark age, characterized by numerous conflicts and by widespread spiritual ignorance. In Nepal things have never been easy, and the last decades have been terrible. The ten years of civil war ending in 2006 have left the Country floundering in the hands of a political class comparable to that of Italy. A decade of fighting and of thriving at the expense of the people (who continue to live with rationed water and electricity), in which they haven’t even got round to writing the Constitution. As if that weren't enough, the earthquakes of 25 April and 12 May have dealt another blow to a Country already on its knees. Four months after the catastrophe, with millions allocated for the reconstruction, there is nothing to show in the square, the symbol of Kathmandu, but the occasional bamboo scaffolding and the erratic presence of a few men in flip-flops, pushing wheelbarrows of bricks over the wall surrounding the Taleju temple. In the corridors of power, the politicians are drafting yet another Constitution under pressure from the international community, which threatens to withhold further funds if it is not ratified soon. The Dollar deity has put them to work, but results are disturbing. In the first draft, proposed in early August, the Country was divided into six provinces, causing unrest among peoples of the South who, once again, resent the centralization of power in the Kathmandu Valley. Then seven provinces were proposed, but there continues to be tension, especially in the South. Two days ago several policemen were killed during clashes in the Kailali district, and last week the police killed three protesters in Surkhet. Tension is also fuelled by India’s demanding the establishment of a Hindu State. In a Country that is a rare example of peaceful coexistence among different religions, this sounds another ominous warning. While the world has long forgotten Nepal, those who should rebuild the Country from the inside out merely continue to speculate at the expense of the poorest and the most vulnerable. As already witnessed in Haiti and in other places, once the cumbersome aids machine gets moving, it does so in a questionable manner. The World Food Program delivered tons of rotten rice, while the Swiss Embassy – to name but one – donated dried pasta, candy and coffee beans (but the Nepalese don't eat pasta and don't drink coffee). We see important humanitarian associations that only go as far as the roads go, important jeeps, important projects on paper, important experts, important meetings in 5-star hotels, important salaries. Disgusted, a Nepalese friend working with NGOs told me that the mere cost of ice cubes for one of these meetings would feed a Nepali family for a month. Ice cubes: imagine the rest! If ever this Country will rise again, it will be thanks to the strength and resilience of its people and to the help of individuals and small associations putting their heart and sweat into this cause, creating new hopes for a better life. As we feared on the 25 April, earthquakes are not the greater evil: things were bad enough before, and what might have been an opportunity for a long-awaited renaissance is turning out to be a vain hope. This small, ailing Country, home to great contrasts: the mirror of our world, a wonderful paradise that human meanness is transforming into hell. But let’s not panic: scholars of the Vedas and Indian Scriptures indicate 2025 as the most likely date for the end of Kali Yuga. The wheel turns, the golden age will return, and men will live in peace and in a loftier spiritual elevation. In our own small way, we are preparing for this new era. At our school and hostel, the children are learning to use the toilet, to throw waste into the garbage bin, and not to expectorate loudly. We are studying the best way to rebuild the two classrooms, the office and school kitchen damaged by the earthquake. In our spare time we are learning to play the guitar, practising new break-dance movements, singing, dancing and working, to banish the demons of negative thoughts so that, one step at a time and with your help from afar, we can build the future of our dreams.
Translated by Sarah Jane Webb

venerdì 24 luglio 2015

Il Paese del riso e della Speranza

Il verde è il colore della speranza. In Nepal ne abbiamo da vendere, sia di verde che di speranza. Il mare sgargiante del riso che cresce nei campi è quasi accecante e neanche il terremoto ha oscurato il sorriso di questo popolo incredibile. Da anni la nostra vicina di (ex)casa di tanto in tanto ci invita a cena, così l'altra sera siamo stati ospiti nella sua nuova casetta di lamiera. Avrei voluto avere una telecamera per registrare e farvi sentire la conversazione con il marito:" Io so che in Giappone e in Europa siete ricchi, potete comprare tante cose e avete tante comodità ma siete sempre in tensione, sempre di corsa, sempre al lavoro. Noi siamo poveri ma siamo più liberi, siamo più shanti". Il saggio omino ci ha visto bene ma non sa che in realtà in occidente oltre a essere poco liberi e shanti, tante volte siamo anche poveri... 
Sei anni fa mi sono innamorata di questo Paese e della sua gente è proprio perché, al di là di mille problemi, scomodità, sporcizia e povertà, ho sempre sentito quel senso di "shanti", letteralmente pace, tranquillità, permeare davvero la vita in questo angolo di mondo e per assurdo in un mare di contrasti qui mi sento a casa come e dove non mai. 
Condivido questo amore con tante persone. Un vecchio amico basco conosciuto durante la prima esperienza nepalese (Aitor), ed il mio compagno (Mattia)  sono appena arrivati per aiutare Human Traction  con le nostre piccole grandi avventure quotidiane. Attualmente siamo alle prese con la rasatura delle pareti dei bagni che presto finalmente vedranno le piastrelle. Dato che stiamo ancora vivendo in ostello passiamo molto tempo con i ragazzi. Più crescono e più ci sorprendono con la loro intelligenza, positività ed energia. Il tempo vola ed i più grandi hanno ormai 15, 16 anni ed insieme spesso parliamo del futuro. Leggono i giornali e sanno che molti dei loro connazionali che vanno a lavorare in Qatar e nei paesi del medio oriente sono sfruttati, fanno lavori pericolosi e in molti muoiono. I nostri ragazzi voglio una vita migliore e se la vogliono costruire in Nepal.
Per cominciare riponiamo nel progetto agricoltura biologica le nostre speranze per un futuro di autosufficienza alimentare. Stiamo cercando un nuovo terreno da affittare in prossimità della scuola perché quello che avevamo previsto prima del terremoto è  ricoperto di macerie delle due case che sono crollate lì vicino. 
Abbiamo messo la voce in paese, le notizie al villaggio viaggiano alla velocità della luce e siamo sicuri che presto troveremo il luogo adatto per il nostro progetto pilota.
Riguardo al terremoto, per chi non avesse letto i post su Facebook abbiamo consegnato:
- 75 kit  luce per altrettante famiglie nel distretto di Kavre 
- creme antirossore cutaneo e vitamina D per neonati che sono stati consegnati in Lantang ad un gruppo di mamme. 
- supportiamo una famiglia del villaggio socialmente disastrata perché il padre è un alcolizzato, la madre è muta e la bambina non andava a scuola.
Senza l'aiuto è l'amore delle persone che ci seguono niente di tutto ciò sarebbe possibile.
Grazie di cuore perché siete pura Human Traction ed insieme possiamo continuare a tramutare sogni in realtà.
#stll beautiful #still Nepal

lunedì 29 giugno 2015

Dove c'è cucina, c'è casa! Home is where your kitchen is

Translation at the bottom.
Sono 4 anni che tengo questo blog ed ogni post è un parto perché è difficile trovare le parole per descrivere emozioni e dinamiche di vita così diverse dalle nostre. Raccontarvi il Nepal post terremoto è ancora più difficile perché lo sto ancora assimilando e studiando. Attraverso questa fase di osservazione posso studiare i modi migliori per intervenire subito e per continuare a pianificare un futuro migliore alla luce delle nuove dure realtà. Come vi aveva già raccontato Giona che era presente durante i terremoti, i ragazzi stanno bene, il nostro ostello non ha riportato danni ed i lavori per i bagni sono quasi terminati. La casa sede di Human Traction invece purtroppo è stata danneggiata, la nostra felice cucina gialla ha delle crepe paurose per non parlare del pavimento divelto del bagno e la colonna con mattoni penzoli al pian terreno . Così con il magone e in uno stato di incredulo shock,  ho fatto il trasloco dei nostri pochi averi trasferendo tutto nella stanza vuota dell'ostello che avrebbe dovuto presto ospitare l'aula computer. Da sola sarebbe stato un compito triste e faticoso invece, grazie all'energia e alla positività disarmante dei ragazzi, l'abbiamo trasformato in un gioco. Anzi, il fatto della cucina l'hanno preso molto seriamente, in due ore hanno smontato e rimontato il tavolone, portato la bombola del gas e tutto il necessario " così ci facciamo subito un bel piatto di pasta!"
Loro sono felicissimi perché viviamo praticamente insieme, io benedico la mia famiglia che ha costruito quest'ostello per loro che ora sta ospitando anche me anche se privacy è una parola da dimenticare, così come acqua corrente e bagno in casa...
Sono felice perché,nonostante tutte le difficoltà so che grazie al vostro aiuto supereremo questi momenti e ci rialzeremo più forti di prima. Continuate a credere in noi. Un abbraccio dal Nepal



le crepe della cucina
kitchen cracks







Dove c'è cucina, c'è casa
Home is where your kitchen is


have been keeping this blog for 4 years now, but every post still feels like a childbirth. Finding the right words to describe emotions and lifestyle dynamics so different from ours is extremely difficult. And describing Nepal after the earthquake is even harder, because I'm still in the process of understanding and assimilating all these tragic events. This observation phase is very useful though, since it will allow me to find the best ways to implement immediate interventions and to continue planning the future in the light of this new, harsh reality.
Giona was here during the quakes and he already told us that the guys are fine, our hostel has not been damaged, and the building of the toilets is almost done. Unfortunately, the Human Traction home-headquarter has suffered some damages. Our happy yellow kitchen has big, scary cracks, not to mention the broken bathroom floor and the column with damaged brickwork downstairs. So, still feeling down and shocked, I had to move all our things to the empty room of the hostel, which was originally intended to be used as a computer room.  Doing all this by myself would have been terribly sad and tiring, but the kids turned it into a big game, bringing in all their energy and disarming positivity. Especially the kitchen was taken very seriously. In as little as two hours they disassembled and reassembled the big table, moved the gas bottle and arrange all we needed “to cook a nice pasta!”
They are very happy because we are practically living together. I bless my family for building this hostel for them … and for me now.
I will need to forget the meaning of the words privacy, running water, and a bathroom inside the house, but I am happy anyway.
With your help we will overcome this difficult times and will become even stronger than before.
Please don’t stop believing in us.
Big hug from Nepal.

domenica 26 aprile 2015

25 Aprile 2015, Il giorno della distruzione.


In Italia erano le 8.30 di un tranquillo sabato mattina quando un messaggio dal Nepal trasforma un’antica latente paura nel più reale degli incubi: c’è stato IL terremoto.
Il 15 gennaio 1934 un terremoto di magnitudo 8.2  devastò il Nepal riducendo le maestose città della valle di Kathmandu in un cumulo di macerie.
I sismologi che studiano l’Himalaya hanno registrato che il Nepal viene scosso dal terremoto circa ogni 80 anni. Ne sono passati 81, 3 mesi e 10 giorni. L’imprevedibilità dei terremoti…
Per chi sa l’inglese

Terremoto a parte, gli artefici del degrado e della silenziosa agonia del popolo nepalese sono molti e molto potenti.
I milioni di dollari di aiuti internazionali che fin dagli anni 60 si riversano in Nepal avrebbero già potuto e dovuto risollevare il destino di questo Paese meraviglioso.
Purtroppo, come accade ovunque nel mondo, la logica del profitto, le speculazioni e la peggiore declinazione del concetto di globalizzazione, hanno avuto la meglio.
Da sempre in Nepal l’approvvigionamento giornaliero di acqua è un grande problema per la quasi totalità della popolazione. Ovviamente non per mancanza d’acqua (il Nepal possiede la seconda riserva idrica al mondo dopo il Brasile!), ma per eccesso di avidità umana e mafie.
Stesso discorso per l’elettricità. Chi conosce il Paese sa benissimo cosa vuol dire load shedding. Significa tagli della fornitura elettrica programmati, d’inverno si arriva a 18 ore.  Di questo è complice l’India, che da anni impone al Nepal la vendita della quasi totalità della poca corrente prodotta.
Terremoto a parte, gli artefici del degrado e della silenziosa agonia del popolo nepalese sono molti e molto potenti.
Con un background del genere era praticamente ovvio che un Paese già in ginocchio si sarebbe trovato impreparato ad affrontare una calamità naturale annunciata.

Scusate il preambolo polemico ma forse alcuni di voi ci seguono da poco e non conoscono bene il Nepal.

Il destino ha voluto che Giona, da sempre uno dei pilastri di HT, si trovasse a Kathmandu.
La sua presenza lì ci aiuterà a capire qual è la vera situazione e di cosa hanno bisogno.
Le comunicazioni sono difficili e spesso interrotte.
A Lilliput*, il villaggio dove operiamo:

I BAMBINI SONO TUTTI SALVI

L’OSTELLO CHE ABBIAMO COSTRUITO NON HA SUBITO DANNI

GRAZIE AL PANNELLO SOLARE CHE CI AVETE AIUTATO AD INSTALLARE,

IN PAESE IERI ERAVAMO GLI UNICI AD AVERE CORRENTE ELETTRICA E SONO TUTTI VENUTI A CARICARE I TELEFONI DA NOI.

PER PAURA DI SCOSSE NOTTURNE HANNO DORMITO TUTTI FUORI. L’OSTELLO E IL GIARDINO DELLA SCUOLA SI STANNO TRASFORMANDO IN UN CAMPO DI SFOLLATI DEL PAESE.

Mentre vi scrivo arrivano finalmente pochi telegrafici messaggi di Giona per aggiornarci sulla situazione:

LA SCOSSA DI STAMATTINA HA PROVOCATO ULTERIORI DANNI
IN PAESE SONO CROLLATE ALTRE CASE TRA CUI ANCHE QUELLA DEL NOSTRO PADRONE DI CASA CHE ORA GIUSTAMENTE RECLAMERA’ QUELLA CHE CI HA AFFITTATO

AVEVAMO DA POCO AFFITTATO UN PEZZO DI TERRA CON UN’ANTICA CASINA NEPALESE CHE SAREBBERO DIVENTATI IL NOSTRO PROGETTO DI PERMACULTURA .
IL NOSTRO SOGNO PER ORA SI E’ SGRETOLATO INSIEME ALLA CASINA.

DICONO CHE LA CORRENTE ELETTRICA NON SARA’ FORNITA PER ALMENO UN MESE PERCHE’ SONO CROLLATI QUASI TUTTI I PILONI DELL’ALTA TENSIONE.

IL PANNELLO CHE ABBIAMO E’ PICCOLO E DA SOLO NON HA UNA LUNGA CARICA.
DOBBIAMO ACQUISTARE DEI NUOVI PANNELLI SOLARI.

GIONA DICE CHE OVVIAMENTE ORA E’ TUTTO CHIUSO. IN CITTA’ E NEI VILLAGGI E’ CORSA AGLI ALIMENTI.  A LILLIPUT PER ORA HANNO CIBO E L’ACQUA GRAZIE A DIO VIENE EROGATA COME SEMPRE DUE VOLTE AL GIORNO PER POCHE ORE.

NCELL, UNA DELLE  2 COMPAGNIE TELEFONICHE, PER ORA NON FUNZIONA.

L’India ha portato i primi soccorsi a Kathmandu e nelle zone dell’ epicentro, la grande macchina degli aiuti internazionali si è messa in moto. Nel disastro è confortante sapere che stanno arrivando anche grandi ONG come Medici Senza Frontiere.
Ovviamente nei villaggi la situazione è peggiore perché gli aiuti sono concentrati nella capitale e dell’epicentro.
La situazione è drammatica come le scene che tutti i giorni vediamo arrivare da mezzo Mondo: Siria, Palestina, Africa, Mediterraneo e, spesso assuefatti al dolore come siamo, quelle immagini si perdono velocemente tra le pieghe dei problemi delle nostre vite. Se però ci stai leggendo, per qualche motivo sei forse legato al Nepal o a noi.
Senza religione, abbiamo fondato Human Traction con la convinzione che la potenza dell’essere umano che si adopera per proteggere i propri simili e chi/cosa vive su questo pianeta, sia una scintilla divina che può fare miracoli.
Gli anni di lavoro svolto fino ad ora lo hanno confermato. Voi che ci seguite siete cresciuti proporzionalmente ai fantastici traguardi che abbiamo raggiunto insieme.
Le urgenze del momento ci spingono ad allargare i confini del nostro lavoro al di là dell’ostello e dei “nostri” bambini.
Lilliput, il nostro villaggio, la nostra comunità ha bisogno di noi. Fateci sentire che non siamo soli.

AGGIORNAMENTI SULLA PAGINA FACEBOOK HUMANTRACTION ONLUS
STIAMO ASPETTANDO CHE GIONA RIESCA AD INVIARE IL SUO RACCONTO E LE FOTO PER STUDIARE COME INTERVENIRE.

IN US WE TRUST
Vittoria

* A chi ci conosce ora consiglio di leggere i post vecchi per capire perché chiamiamo il villaggio Lilliput e perché io mi firmo Vittoria.J