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venerdì 6 novembre 2015

Standby Nepal

Dopo settembre anche Ottobre è stato un mese all’insegna dell’assurdo.
Già perché, purtroppo, nel 2015 anche in Nepal senza il carburante ed il gas la vita dopo un po’ diventa semplicemente assurda. La benzina al mercato nero costa più di 5 euro al litro ed è tagliata. Le file ai distributori sono infinite, gli autobus sono ridotti e viaggiano caricando decine di persone anche sui tetti. Il tragitto per Kathmandu (18km) è diventato un viaggio epico di ore ed ore. In ostello la didi cucina da settimane con bambù secco e la poca legna che si trova in un villaggio nel mezzo delle risaie. In città la situazione è ovviamente peggiore ed addirittura i ristoranti per turisti in Thamel, ormai da più di un mese, hanno il menù dimezzato perché non possono sostenere il costo di 80 euro a bombola del gas, figuriamoci la gente normale.
I nostri lavori di ristrutturazione dei bagni ed il progetto di ricostruire la parte pericolante della cucina sono completamente bloccati perché nessuno consegna i materiali e i prezzi sono raddoppiati.
Ottobre è stato anche il mese del Dasahin, la massima festa nepalese che corrisponde un po’ al Natale: si fanno kilometri per riunirsi con i parenti e mangiare smodatamente con la famiglia cercando di dimenticare, almeno per qualche giorno, la pesantezza e le difficolta di questo 2072. (In Nepal seguono un calendario tutto loro)
Il ragazzo più grande dell’ostello ci ha chiesto di accompagnarlo al villaggio di origine dove vivono la madre vedova ed il fratello con un braccio paralizzato. Il villaggio si trova tra le alte colline sopra Barhabise, 85 km dalla capitale, nel distretto di Sindupalchok, epicentro del sisma di Aprile. Come la maggior parte della popolazione di quelle zone, anche loro hanno perso la casa e vivono in una baracca di onduline e legna. La mamma si chiama Maya e ci ha accolti con la proverbiale ospitalità nepalese. Ci siamo sentiti coccolati e rifocillati dopo le 6 ore di curve in cima ad un vecchio autobus e 3 di trekking per raggiungere il villaggio.  La bellezza di questi luoghi e di queste persone lascia senza fiato, come la distruzione del terremoto che qui ha seminato macerie ovunque. Ancora una volta il Nepal si rivela terra di contrasti, meraviglioso e dannato, più da una classe politica becera e dai giochi di potere dell’India che dalla natura matrigna. I milioni di euro stanziati per la ricostruzione sono ancora tutti fermi nelle casse del Primo Ministro perché negli ultimi mesi tra la ratifica della costituzione prima e l’embargo indiano dopo, non è stato mosso un dito per aiutare la popolazione colpita. Nel nostro piccolo abbiamo deciso di aiutare la mamma di Dipendra a ricostruire la sua casa. Le abbiamo consegnato 16.000rps, circa 150 euro, per i lavori di abbattimento della vecchia casa e rimozione delle macerie. Torneremo da lei a gennaio per seguire i lavori di ricostruzione. Purtroppo entro due settimane lo staff di HT dovrà lasciare il Nepal (attualmente siamo in tre). A me non danno il visto come insegnante di inglese per un anno perché al Dipartimento dell’Istruzione dicono che non c’è bisogno di insegnanti stranieri, i loro sono abbastanza e bene preparati. Sappiamo tutti che non è vero, che il Nepal vanta uno dei sistemi educativi più deboli al mondo e che nello specifico nella nostra scuola manca personale docente. Non mi hanno neanche fatto parlare cacciandomi dall’ ufficio in malo modo. Ho mangiato un panino di rabbia, l’ho digerito e ora sono serena perché il dono più grande che il Nepal mi ha fatto in questi anni è la prova che con la pazienza e la perseveranza si ottiene tutto. Tornerò con il mio compagno a gennaio e, come sempre, troveremo un modo per andare avanti.
Catia, che ha scritto il post sulla sanità, era venuta in Nepal per riabbracciare due vecchi amici. Sarà il fascino di Lilliput, sarà la magia dei ragazzi dell’ostello, ha deciso di entrare a far parte della nostra famiglia aiutandoci sia in Nepal che in Italia. Siamo felici di acquisire nuove energie proprio nel momento in cui salutiamo con affetto Clara che, per motivi personali, ha deciso di lasciarci.
Auguriamo ai vecchi e ai nuovi amici, ma soprattutto al nostro amato Nepal un futuro sereno. Noi, problemi di visti a parte, ci saremo sempre e faremo sempre del nostro meglio per far crescere i ragazzi dell’ostello forti ed aiutare le persone in difficoltà a noi vicine.


 
Le macerie della casa di Maya, Sindapalchok

Le macerie della casa di Maya, Sindapalchok

Le macerie della casa di Maya, Sindapalchok

La casa vecchia casa di  Maya, Sindapalchok

Maya nella sua casa attuale

domenica 11 ottobre 2015

Aspettando Godot...ed un autospurgo!

Amici che ci seguite, vi abbiamo lasciato con l’ultimo post di fine settembre con le nostre disavventure, la fossa biologica, le tensioni politiche interne e quelle con l’India che hanno portato al blocco delle frontiere con conseguente razionamento di benzina e bombole del gas. Le cose non sono migliorate, anzi.
Il 2 ottobre abbiamo portato D., uno dei nostri ragazzi, in ospedale. Eravamo già stati 15 giorni prima in un ospedale nepalese dai sedicenti “international standards”. Il ragazzo accusava dolori di stomaco, febbre, inappetenza e presentava l’addome rigonfio. L’arguto medico, senza neanche toccare il paziente, ci prescrive: ciproxina (antibiotico ad ampio spettro), un camion di paracetamolo ed un farmaco antiulcera. A distanza di pochi giorni anche presso l’health post del villaggio D. ha ricevuto lo stesso trattamento. Abbiamo deciso a questo punto di rivolgerci all’unico ospedale degno di questo nome. Una precisazione: in Nepal la sanità è privata eccetto il Bir Hospital di Kathmandu e, come per tutto il resto, il servizio è scadente. I medici sono poco preparati e le diagnosi sono spesso inadeguate. Dopo 4 giorni di ricovero e più di 500 euro di spesa, abbiamo scoperto che D. ha la “tubercolosi diffusa” che ha colpito, nel suo caso, la pleura e il fluido peritoneale. Si tratta di una malattia molto diffusa in questo Paese ma nonostante ciò le prime diagnosi sono state pericolosamente errate. La malattia è infettiva ma il medico ci ha un po’ rassicurati spiegandoci che è molto meno trasmissibile rispetto a quella polmonare. Le indicazioni per D. sono: indossare la mascherina almeno per i primi tempi, dormire isolato, seguire la terapia farmacologica per 6/8 mesi.
La mattina del 6, ovviamente ancora debole e barcollante, D. è stato dimesso. I nostri problemi personali, come quelli di tutti i nepalesi, sbattono e si amplificano contro il muro di problemi e disagi dovuti alla mancanza di carburante. I bus hanno ridotto le corse e viaggiano carichi al limite della sopportazione meccanica ed umana, D. non è in condizione di affrontare un viaggio simile. Ai benzinai ci sono taxi ed autisti del trasporto pubblico in file di km. C’è chi aspetta da più di 24 ore ed il rifornimento ai privati non è permesso da diversi giorni. Davanti all’Esercito ci siamo finti turisti impauriti e siamo riusciti a recuperare 2 preziosissimi litri per riportare il nostro D. a casa. Oggi, domenica 11, siamo un po’ più sereni perché risponde bene alla terapia, gli sta tornando l’appetito e, anche se il suo sorriso sarà coperto dalla mascherina per un bel po’, i suoi occhi e la sua vitalità, che aumenta di giorno in giorno, ci fanno sperare che con le dovute attenzioni ed impegno guarirà e anche la Tbc, al tempo dell’embargo silente, sarà un’altra complicata avventura archiviata.
Qui non ci si annoia mai e di complicate avventure ne abbiamo un po’. Il fatto che non ci sia benzina non significa solo che devi andare a piedi e che se devi trasportare materiali e/o persone ti puoi giusto affidare agli dei, significa che tutta la vita e tutte le attività vanno in stop indeterminato, il che alla lunga diventa stressante e pericoloso. Non c’è cemento né sabbia né i materiali necessari per la ricostruzione della cucina e delle parti pericolanti. Non possiamo terminare il lavoro dei bagni e chi ci segue sa che da tempo abbiamo problemi con la fossa biologica. Prima lo sciopero degli autospurgo e poi la mancanza di benzina stavano rendendo la vita in ostello irrespirabile e pericolosa. Non abbiamo avuto altra scelta che utilizzare una grande buca nel campo sottostante che, anche ad aprile, causa terremoto, era stata usata per svuotare la fossa stessa. La buca è coperta da strati di onduline e le terra assorbe abbastanza in fretta. Sappiamo che non è la soluzione ideale e non è stata una decisione presa a cuor leggero, anche perché il canale di scolo lo abbiamo scavato noi e non è stato piacevole. Adesso la situazione è sotto controllo, per un po’, l’odore nauseabondo è diminuito e la pozzetta a cielo aperto di liquami e bigattini è sparita.

Come il resto della popolazione non ci resta che attendere che la situazione si sblocchi per poter tornare a quel casino incredibile di luce ed acqua razionate, politica fantoccia, spezie e bellezza, anime gentili e balordi, macerie e speranza che chiamavamo “normalità”.
Per chi sa l’inglese e vuole capire di più, ecco un bell’ aricolo uscito oggi su Aljazeera-http://www.aljazeera.com/news/2015/10/analysis-blockade-politics-nepal-151009193817262.html